«Il sottosegretario Delmastro ha esultato per le nuove assunzioni, senza però tenere conto delle unità che sono andate in pensione: sostanzialmente gli organici sono rimasti invariati».
E a volte gli agenti devono anche svolgere compiti di infermeria.
artiamo da qualche dato. Solo nel 2023 sono stati oltre 1800 gli agenti aggrediti con una prognosi superiore ai sette giorni poiché picchiati da detenuti. Una media di cinque al giorno.
In particolare: sono circa 350 i poliziotti penitenziaria finiti in ospedale in Lombardia; 280 in Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria; 270 in Sicilia; 260 in Lazio, Abruzzo e Molise; 210 in Veneto; Trentino e Friuli; oltre 200 in Campania, come in Emilia Romagna e Marche; 190 in Toscana e Umbria; 180 in Puglia e Basilicata; 160 in Calabria e 120 in Sardegna.
Turni infiniti, aggressioni e violenza psicologica: ecco le condizioni nelle quali lavora oggi la polizia penitenziaria italiana. Per i sindacati, si tratta di «condizioni inaccettabili».
«Tutto ciò dal punto di vista psicologico è devastante: quando un agente va al lavoro non sa mai come tornerà a casa, perché la percentuale di rischio è altissima» denuncia il segretario nazionale Aldo Di Giacomo.
Ma le criticità non finiscono qui: «La principale problematica di cui gli agenti si lamentano è l’impossibilità di organizzare i turni – sottolinea –: non sanno che orario faranno il giorno dopo e questo non gli permette di organizzare la propria vita privata».
A volte capita anche che gli agenti debbano fare delle mansioni straordinarie: «Se mancano gli infermieri, la polizia penitenziaria è costretta a distribuire i farmaci ai detenuti. Un fatto gravissimo, che però passa in secondo piano rispetto alle altre criticità» racconta Di Giacomo.
Le cause
Tutte queste criticità sono frutto di due problemi. La prima è la carenza di agenti: «Il sottosegretario Delmastro ha esultato per le nuove assunzioni, senza però tenere conto delle unità che sono andate in pensione: sostanzialmente gli organici sono rimasti invariati», sottolinea il segretario nazionale, evidenziando anche come siano necessarie almeno «14 mila assunzioni» per tamponare la situazione.
La seconda invece riguarda il dilagare della criminalità negli istituti: «Siamo arrivati a un livello peggiore delle carceri sudamericane (in cui in molti casi i criminali hanno il controllo ndr.) – dice Di Giacomo – poiché non riusciamo a contenere il fenomeno.
Faccio un esempio: nell’istituto di Avellino, chi non fa parte della famiglia di turno e vuole spacciare non può farlo».
Sul tema la redazione ha cercato di contattare l’istituto campano senza, per il momento, avere una risposta.
Ma la criminalità non si organizza solo sullo spaccio secondo Di Giacomo: «Nel caso delle aggressioni c’è uno schema molto frequente: il boss di turno usa i detenuti più deboli per aggredire gli agenti che vogliono far rispettare le regole».
Il caso del carcere di Nuoro
Tornando al tema della carenza di personale, recentemente in Sardegna è scoppiato un caso: «Pochi giorni fa è successo un episodio che non ho mai visto in 25 anni di carriera: l’esercito è stato incaricato di pattugliare il perimetro esterno del carcere di Badu ‘e Carros, a Nuoro».
E questa soluzione, secondo Spp, «verrà estesa anche ad altri istituti», diventando «l’esempio più clamoroso del fallimento della gestione del sistema penitenziario».
E l’appello, a questo punto, è rivolto direttamente al governo Meloni: «L’esecutivo deve avere il coraggio di ammettere che le carceri vanno trasferite all’esercito italiano perché – continua Di Giacomo – non si è in grado di trovare risposte e soluzioni all’emergenza che si protrae a causa del sovraffollamento, degli organici ridotti e inadeguati, e al costante aumento di suicidi e di aggressioni al personale».
E, infine, viene richiesto un «segnale forte» da parte del governo, ovvero «le dimissioni del sottosegretario Andrea Delmastro che ha la delega alle carceri».
Ma l’appello si estende anche all’amministrazione penitenziaria: «Somiglia al gambero che fa un passo avanti e subito dopo due indietro – conclude –.
L’impegno di nuove assunzioni, la dotazione di strumentazioni e abbigliamento per il personale non possono bastare per affrontare la complessa situazione.
C’è bisogno di un segnale forte e di uomini di spessore e capacità di affrontare attraverso un dialogo tra il sindacato di categoria e il Ministero (dell’Interno ndr) su basi più avanzate e concrete per perseguire l’obiettivo di un modello di sistema carcerario più vicino a chi lavora negli istituti e a chi è detenuto».
Fonte – La Stampa Polizia penitenziaria denuncia violenze: il comunicato del sindacato – La Stampa