“Il focolaio Covid nel carcere di Santa Maria Capua Vetere non si attenua, anzi al contrario cresce.
Apprendiamo che sono diventati 40 i detenuti positivi nel penitenziario casertano dove si va avanti solo con giri di tampone a campione e non si raccoglie la nostra sollecitazione per l’Open Day vaccinazione, come avviene “fuori”, anche per accelerare la somministrazione della terza dose”.
Ad affermarlo è il segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria – S.PP. – Aldo Di Giacomo per il quale “l’esperienza della prima ondata di diffusione della pandemia non ha insegnato nulla se non ad accrescere la “campagna buonista” di ampi settori della politica e dell’informazione per il “liberi tutti” come unico metodo di prevenzione dal Covid.
Siamo di fronte ad un film già visto: senza un piano di intervento straordinario e di emergenza – aggiunge Di Giacomo – si esaspera la tensione interna ai penitenziari riproponendo lo stesso clima che abbiamo conosciuto nella primavera dello scorso anno con le numerose rivolte.
I due tentativi di rivolta nel carcere di Taranto, in pochi giorni – continua il segretario del Sindacato Polizia Penitenziaria – dovrebbe essere invece interpretato come campanello d’allarme.
Si sottovaluta un altro aspetto: dopo i fatti di Santa Maria Capua Vetere con tutto il personale penitenziario dato in pasto all’opinione pubblica come violento e crudele la delegittimazione potrebbe produrre non pochi problemi per contenere le rivolte.
È una situazione – dice Di Giacomo – che riprova la tesi coltivata da parte dello Stato del carcere completamente avulso dal resto della città dove invece si punta ad accrescere controlli e azioni di contrasto al Covid.
Si sta ripetendo lo stesso grave errore di sottovalutazione compiuto nella primavera 2020 con le numerose rivolte che hanno avuto come scintilla proprio la diffusione della pandemia con l’aggravante di scaricare ulteriormente sul personale penitenziario la gestione della pandemia.
È molto facile innescare di nuovo tensioni sulle quali la criminalità organizzata, i clan e le gang presenti nei penitenziari possono “soffiare”.
A noi pare di cogliere – afferma il segretario generale del Sindacato Penitenziari – una sorta di paura dello Stato che non ha alcuna intenzione di introdurre prescrizioni rigorose sul doppio piano giuridico e sanitario per i colloqui in carcere temendo la reazione di quei clan di criminali che continuano a dimostrare di comandare e controllare i penitenziari”.