“La perquisizione disposta dalla Procura di Milano in casa e il sequestro di vari dispositivi elettronici, in merito al videoclip del rap “Baby Gang” girato a San Vittore, è un buon segnale per perseguire quanti come il giovane rap pensano di poter trasformare le carceri in “location” di videomusicali sbeffeggiando lo Stato e soprattutto le vittime”.
Ad affermarlo è il segretario generale del S.PP. – Sindacato Polizia Penitenziaria – Aldo Di Giacomo per il quale “il fenomeno ha assunto da qualche tempo l’effetto emulazione secondo una convinzione diffusa di restare impuniti, convinzione che la Procura di Milano ha colpito.
Al singolo “Paranoia” che lo stesso Baby Gang ha registrato in carcere si aggiungono – solo per citare gli ultimi casi – i detenuti- neomelodici che da Poggioreale hanno girato e trasmesso un video-musicale, i video su Tik Tok realizzati dal capo clan pugliese agli arresti domiciliari che con musica neomelodica di sottofondo, in compagnia di altre persone, ha ostentato ingenti quantitativi di denaro in contanti.
La detenzione in cella o a casa è dunque diventata soggetto preferito per girare video- musicali prendendo in giro lo Stato e direttamente le vittime e le famiglie che hanno subito assassini, violenze, furti e atti criminali.
Accade così che c’è chi canta alla libertà per i camorristi e chi invece si vanta che il suo “prossimo singolo rimarrà nella storia del rap”, chi non si limita a cantare ma esibisce il denaro frutto delle attività di narcotraffico nel territorio del Gargano e nel Nord Barese mediante l’importazione di cocaina dall’Olanda.
Ma ciò che più ci sconcerta – continua Di Giacomo – è che solo in queste occasioni i media scoprono l’acqua calda e cioè che nelle carceri sono diffusi i telefonini anche quelli più tecnologici e che boss, capo clan ed affiliati hanno facile accesso ai social.
Mettiamoci semplicemente nei panni di chi ha subito violenza, rapina o persino un familiare ucciso che assiste all’indecoroso spettacolo per rendersi conto del sentimento di forte indignazione e rabbia che serpeggia.
Per noi – dice Di Giacomo – è il segno più degradante del “buonismo” diffuso nei confronti dei detenuti ai quali è concesso persino di divertirsi con video-sceneggiate, video di musica rap e filmati sui social.
Ma attenzione ad interpretazioni folcloristiche: come sostengono magistrati anti mafia in trincea nella lotta alle mafie l’uso dei social è dimostrazione di potere e contiene persino messaggi di comando inviati all’esterno”.