“I detenuti del carcere di Prato volevano uccidere. L’aggressione ai due agenti è stata di una violenza che ha pochi casi simili di ferocia e barbarie. Solo l’atteggiamento immediato e responsabile del personale dell’istituto penitenziario ha evitato conseguenze gravissime”.
Lo afferma il segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo che aggiunge: “non siamo più disposti a contare i casi di aggressione a nostri colleghi e a rivendicare tutela senza essere ascoltati. Ora basta.
Vogliamo avviare nuove ed inedite forme di protesta, senza escludere nulla, perché è evidente, salvo al Ministro di Grazia e Giustizia e al responsabile del DAP, che il personale di polizia penitenziaria è nel mirino della criminalità che continua ad essere organizzata anche in cella, come denunciamo da troppo tempo”.
Per Di Giacomo “il caso più eclatante di questo clima insopportabile è l’episodio di aggressione, avvenuta l’8 ottobre scorso, nel carcere di San Gimignano (Siena), dove un ispettore è stato colpito al volto con un oggetto contundente da un detenuto tunisino che gli ha causato una ferita curata con una ventina di punti di sutura (l’agente ha anche riportato danni all’udito). L’episodio – sottolinea il segretario del S.PP. – è stato derubricato a uno dei tanti fatterelli di cronaca con qualche rilievo solo sulla stampa locale a differenza della campagna che ha fatto seguito all’inchiesta sui presunti pestaggi ai detenuti che ha tenuto banco sui giornali ed organi di informazione per settimane intere.
Si è dunque concretizzato l’allarme che la sentenza della Corte di Giustizia di Strasburgo amplifica con il risultato diretto di delegittimare il personale penitenziario degradato a “carcerieri dai trattamenti disumani”.
Come S.PP. – afferma Di Giacomo – non accetteremo mai la degradante immagine che ci viene attribuita e chiederemo, in ogni sede, di essere tutelati.
Per il S.PP. “bisogna mettere fine a questo sistema carcerario tipicamente italiano che rappresenta un pericolo per i cittadini e più direttamente per il personale penitenziario, di fatto delegittimato dalle sue funzioni e dai suoi compiti.
La nostra – continua Di Giacomo – è una denuncia che ha troppe prove provate: i mafiosi e gli uomini della criminalità organizzata intendono imporre il proprio controllo in carcere e non aspettavano altro che questo segnale di resa da parte dello Stato che pone il personale degli istituti di pena in una condizione di totale isolamento in quanto gli unici difensori di legalità e giustizia”.