11 marzo 2016 Considerazioni sul servizio di Matteo Viviani delle “Iene”:

Attività, Comunicati

Pensare a una ‘levata di scudi’, di fronte al servizio televisivo mandato in onda ieri sera durante il programma “Le Iene” da Matteo Viviani, è una logica conseguenza, è un atto necessario, se si pensa che riguarda un episodio accaduto ben 12 anni fa e perseguito penalmente e disciplinarmente con l’esito di due Agenti destituiti e due sospesi, su 5 indagati, dal corpo di polizia penitenziaria.

Chi scrive ha una responsabilità di rappresentanza, sindacalista della polizia penitenziaria e di politico con delega alla Sicurezza, e non può esimersi dal prendere le distanze da queste presunte inchieste, in cui le ‘fonti’ sono piegate al mero e palese interesse di fare audience.

Detto questo, è evidente che picchiare i detenuti, coloro che sono affidati allo Stato, è un fatto ingiustificabile e perseguibile severamente con ogni strumento. Chi abusa della propria posizione, scambia il pensiero giuridico dei principi costituzionali con il pensiero personale, è un cattivo rappresentante dello Stato e, per questa ragione, va cacciato. Tuttavia, il servizio ‘ad effetto’ di ieri sera ha raccontato questo episodio, attraverso le sole dichiarazioni dell’Agente decaduto dal servizio nel 2006 per colpe gravi nell’ambito del suo servizio, lasciando spazio all’interpretazione che fosse una prassi consolidata tra gli operatori penitenziari, seguendo lo stereotipo arcaico secondo cui chi finisce in carcere viene picchiato.

La verità è che si è trattato di quattro singole “mele marce” che si sono incontrate nel penitenziario di Asti dove nel 2004/2005 hanno commesso specifici reati di “abuso di autorità contro arrestati o detenuti” per i quali il Tribunale della medesima città, il 03 Febbraio 2012, ha emesso la sentenza n. 78. Altrettanti provvedimenti disciplinati sono stati presi dall’Amministrazione Penitenziaria che, appena individuati gli autori, li ha messi di fronte alle proprie responsabilità e sospesi dal Corpo.

Il lavoro della polizia penitenziaria non può essere ridotto al cliché anacronistico divulgato dalla cinematografia americana secondo cui l’uso della violenza è necessario contro i detenuti delinquenti, ma più adeguatamente e realisticamente al senso di alta professionalità e capacità volta alla tutela delle persone detenute. Il senso di umanità e di abnegazione di fronte alla complessità rappresentata dalla popolazione detenuta è riconosciuto agli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria dagli stessi detenuti, dagli operatori dell’esecuzione penale e da quanti ritengono che sia un servizio essenziale per la sicurezza della società. Dott. Aldo Di Giacomo

Il Segretario Generale

Dott. Aldo Di Giacomo

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