“I risultati delle lunghe indagini della DDA di Bari, iniziate nel 2016, sulle gang nigeriane organizzate “come sette segrete” e attive nel capoluogo pugliese, sono utili a riaccendere l’attenzione sul fenomeno diffuso in tutt’Italia della mafia nigeriana che dopo Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita, è sempre più ramificata e pericolosa sul territorio, dalle metropoli alle città di provincia.
Ma se vogliamo sconfiggerla dobbiamo intensificarne la lotta a cominciare dalle carceri dove (al 31 maggio scorso) sono detenuti circa 1.300 nigeriani di cui più del 50% con sentenza di condanna, che rappresentano il 7,5% della popolazione carceraria straniera con un incremento annuo del 5% e secondo gli ultimi dati disponibili su 12.387 reati firmati dalla criminalità nigeriana (un quinto di quelli commessi da tutti gli stranieri da noi), 8.594 avvengono al nord, 1.675 al centro, 1.434 al sud, 684 nelle Isole”.
È quanto afferma il segretario generale del S.PP. – Sindacato Polizia Penitenziaria – Aldo Di Giacomo: “Proprio come ricostruito dall’Antimafia del capoluogo pugliese, si tratta di gruppi dalla struttura militare, che sfruttano prostituzione e accattonaggio di mendicanti, imponendo la loro disciplina con pestaggi e accoltellamenti, oltre a controllare il traffico di droga.
Sarebbero almeno una dozzina i gruppi che si contendono il primato dei traffici prostituzione-droga nel Paese africano e in Italia e nei Paesi Europei.
In Italia è certa la presenza di almeno quattro nuclei, divisi da un conflitto sotterraneo e brutale che va avanti da due decenni: la Aye Confraternite, i temibili Black Axe, i Viking e gli Eiye (queste ultime sono le band individuate a Bari).
Per questo una volta arrivati in cella hanno bisogno di controlli rigorosi.
È quanto mai urgente predisporre sezioni speciali di detenzione per gli affiliati ai “cult” nigeriani ed estendere il 41 bis ai capi sempre più spietati, riaprendo gli istituti speciali delle isole Asinara, Pianosa, Gorgone dove è più facile esercitare i controlli.
Il personale penitenziario – aggiunge Di Giacomo – necessita di corsi di aggiornamento per una maggiore conoscenza delle caratteristiche della mafia nigeriana.
Un’attività di controllo nelle celle è pertanto fondamentale a stoppare le nuove affiliazioni e a prevenire le attività criminali fuori dagli istituti di pena mentre dentro i “criminali neri” continuano ad imporsi ad altre organizzazioni criminali e sui detenuti.
Altro che abolizione del 41 bis o attenuazione del regime di carcere duro.
A questi nigeriani violenti che non si fanno scrupoli persino nella tratta di organi umani va applicato lo stesso regime per i mafiosi italiani tenendoli lontani specie da connazionali già detenuti”.