Le dichiarazioni del pentito della “Cosa nera”, il ruolo sempre più attivo svolto nei campi profughi in Libia, le continue operazioni della Dia a Palermo, il controllo dello spaccio di droga e della prostituzione intorno alle stazioni ferroviarie più importanti del Paese sono tante tessere che ricostruiscono il mosaico della mafia nigeriana che dopo Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita, è sempre più ramificata sul territorio, dalle metropoli alle città di provincia.
Ad affermarlo è Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria S.PP. per il quale la risposta dello Stato è debole, confusa, inadeguata proprio come negli anni delle prime azioni di lotta alla mafia italiana. Nonostante come scrivono i rapporti della Dia “il radicamento in Italia di tale consorteria è emerso nel corso di diverse inchieste, che ne hanno evidenziato la natura mafiosa, peraltro confermata da sentenze di condanna passate in giudicato”, e aggiungiamo noi anche nelle carceri i “criminali neri” si impongono sui detenuti, si registra una grave sottovalutazione.
All’interno degli istituti penitenziari servirebbero sezioni speciali appositamente per gli appartenenti alle cosche mafiose nigeriane considerata la loro indole estremamente violenta. Il fatto nuovo è che – sottolinea Di Giacomo – secondo la Dia, appare assodato che le mafie nostrane appaltino il lavoro sporco ai nigeriani e che questi, quando agiscono da indipendenti, debbano pagare il pizzo a Cosa Nostra e alle ‘ndrine. Una tassa “mal sopportata”, tanto che a volte scoppia lo scontro, come accadde a Castel Volturno nel 2008, quando i Casalesi spararono indiscriminatamente sulle case dei braccianti immigrati, uccidendo sei persone (per altro non affiliate alle bande). Sarebbero almeno una dozzina i gruppi che si contendono il primato, nel Paese africano e all’estero.
Per esempio, in Italia è certa la presenza di almeno tre nuclei, divisi da un conflitto sotterraneo e brutale che va avanti da due decenni: la Aye Confraternite, gli Eiye e i temibili Black Axe.
Secondo il rapporto “Global Report on Trafficking in Persons 2014” dello United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC), con l’operazione Cultus finirono in manette “membri di due gruppi, chiamati Eiye e Aye Confraternite, operativi in alcune parti d’Italia da almeno il 2008”.
In questo scenario si ritrovano le motivazioni del rilancio della mobilitazione del S.PP. con la campagna “Noi le vittime Loro i carnefici” ripresa dall’inizio di questa settimana con il tour nelle carceri italiane innanzitutto per fare chiarezza su chi sono le vere vittime – dagli agenti penitenziari ai detenuti “deboli”, ai cittadini – e per sostenere un piano urgente di rimpatrio degli appartenenti ai gruppi della mafia nigeriana.
La loro permanenza nei nostri istituti di pena si trasforma in una scuola di affiliazione ed addestramento di altri criminali. La politica italiana continua a comportarsi da “struzzo” facendo finta di niente salvo ad urlare, alla pancia degli italiani, la voglia di aumentare gli arresti.
Il Ministro Salvini parla addirittura di 12 mila nuove persone in cella come se le condizioni di sovraffollamento con tutto ciò che comporta per il personale penitenziario e i detenuti fossero una nostra fantasia.