Già quattro anni fa il TAR Lombardia Sez. III con ordinanza n. 246/2016 respinse la richiesta di sospensione cautelare perchè “E’ esclusa la sussistenza del “fumus boni iuris” ai fini della sospensione dell’efficacia della sanzione della sospensione dal servizio, della durata di un mese, che sia stata irrogata al dipendente dell’amministrazione penitenziaria per aver aggiunto il commento “mi piace” ad una notizia pubblicata su un sito Facebook dalla quale possa derivare un danno all’amministrazione, sebbene la notizia avesse un contenuto complesso”.
Adesso la sentenza definitiva che respinge il ricorso del poliziotto penitenziario. Una sentenza che sicuramente farà riflettere a molti assidui frequentatori dei social network. Specialmente a quelli che, come si suol dire, hanno «l’indice facile» per cliccare e lasciare la loro opinione ovunque, anche dove non è richiesta, senza pensare alle conseguenze di un semplice «like».
La sentenza è quella emessa qualche giorno fa dal Tar della Lombardia e a farne le spese è stato un agente della Polizia Penitenziaria, punito con la sospensione dal servizio per un mese e con l’impossibilità di fare carriera.
La sua colpa? Avere cliccato su Facebook «mi piace» sulla notizia del suicidio di un detenuto in carcere.
Va detto che, in questo caso, si trattava di un dipendente pubblico, ma che un provvedimento disciplinare è possibile applicarlo anche nel settore privato.
Quindi, perdere il lavoro per un «like» di troppo, o avere comunque dei seri problemi, è più che possibile, dome dimostra la sentenza del Tar.
Il concetto alla base della decisione del Tribunale Amministrativo lombardo è molto semplice.
Solo che spesso sfugge a chi ha l’abitudine di «pigiare» qua e là pollici su e pollici giù. Lasciando stare i commenti scritti (alcuni inerenti a un determinato post, altri da dimenticare), i giudici hanno evidenziato qualcosa di estremamente palese: tra le icone con cui si può commentare senza parole un post, non ci sono quelle che indicano «mi piace ma non troppo», «sono quasi del tutto d’accordo», «non mi dispiace ma non mi convince»: o ti piace o non ti piace, o clicchi sul pollice su o lo fai su quello inverso.
Come gli imperatori romani con i gladiatori: o sì o no. E se clicchi sì, vuol dire che condividi in tutto e per tutto quello che c’è scritto in quel post.
Senza sfumature, perché le icone di Facebook non le prevedono.
Sembra una banalità, ma un concetto del genere può costare il posto di lavoro, ad esempio, a chi mette un like su un post contrario ai princìpi dell’azienda che il dipendente è tenuto a rispettare dentro e fuori dall’ufficio.
Quindi, in sua difesa, il lavoratore non potrà dire di avere messo il commento alle 2 di notte, quando si trovava a casa sua, nell’ambito della sua vita privata.