“La conclusione dell’inchiesta della Polizia di Caltanissetta contro il clan Rinzivillo – gli ordini per i mafiosi partono dal carcere – è la classica scoperta dell’“uovo di Colombo” che non ci meraviglia affatto.
È da anni che stiamo lanciando l’allarme perchè i numerosi arresti avvenuti negli ultimi tempi di capi clan o comunque degli uomini di spicco dei mandamenti li costringe a riorganizzare dalla cella le “famiglie” sui territori”.
A sostenerlo è il segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo sottolineando che “non è casuale il fatto che nel giro di un anno il ritrovamento di telefonini e sim nelle carceri siciliane si sia triplicato. Siamo di fronte ad un’evidenza che evidentemente sfugge solo a chi continua a fare lo struzzo: gli istituti di pena, anche i 13 dove sono reclusi i 740 detenuti per reati di criminalità organizzata e terrorismo in regime di carcere duro (41 bis), non sono sufficientemente monitorati per impedire la fuoriuscita di “pizzini” agli affiliati dei clan e la “formazione” o l’arruolamento di criminali. Altro elemento che denota l’improvvisazione dell’Amministrazione Penitenziaria riguarda il programma per dotare almeno un primo numero di carceri di strumentazioni tecniche idonee a rilevare la presenza nelle celle di telefonini.
Ebbene, dopo l’annuncio si sono perse le tracce”. «La politica, il Parlamento e il nuovo Governo Conte – aggiunge – prima che si riorganizzino i clan, come dimostra l’inchiesta sulla famiglia di cosa nostra di Gela e si scateni la guerra di successione, aprano gli occhi e si rendano conto che la situazione di illegalità e non sicurezza nel carcere, dovuta principalmente a responsabilità politiche, si ripercuote direttamente e pesantemente sui cittadini fuori dal carcere, perché la situazione sempre più difficile dei nostri istituti di pena è la cartina al tornasole dell’insicurezza fuori e nelle città».
Di Giacomo continua affermando che «anche nei mandamenti di Gela e Catania, si profila quello che accade da tempo a Palermo con l’avvento di donne nella successione ai capi clan in carcere perché nella successione dei capi è il momento delle donne». Il segretario del S.PP. si occupa infine della situazione del carcere di Barcellona Pozzo di Gotto: “nel giro di pochi giorni il suicidio di un giovane detenuto ventenne affetto da disturbi psichiatrici e l’aggressione di un poliziotto penitenziario da parte di un altro detenuto con disturbi psichici, sono la riprova che il cosiddetto modello di penitenziario per la tutela della salute mentale non funziona.
Si prenda coscienza e se ne convincano politica, Parlamento e Ministero Grazia e Giustizia”.