“Ancora un caso di un boss che comanda dal carcere: l’inchiesta della Dda di Catania ha accertato che il capo famiglia Giovanni Rapisarda, 53 anni, (“Sansuneddu”),appartenente ai Santapaola Ercolano, condannato all’ergastolo, dal carcere alla moglie e ai figli dava indicazione su come gestire le estorsioni.
È il caso di rinnovare, nel trentennale della strage di Capaci e dell’assassinio di Giovanni Falcone e dei servitori dello Stato che gli facevano da scorta, l’invito: la lotta alla mafia comincia dal carcere”.
E’ il commento del segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria – S.PP. – Aldo Di Giacomo che aggiunge: “i casi si moltiplicano: dalla recente indagine sulla ‘ndrangheta in Lombardia che ha rivelato come il capo della ‘ndrangheta dalla cella ha impartito ordini agli uomini delle cosche di ‘ndrangheta in provincia di Milano, Como e Varese, decidendo anche ritorsioni e pestaggi per chi non pagava il pizzo, gestendo comodamente dal carcere gli affari e l’attività di prestito a usura, a quelli dei camorristi campani e ai mafiosi siciliani.
Lo Stato non può continuare a vanificare il grande lavoro dei magistrati antimafia e degli inquirenti”.“C’è però un fatto nuovo e significativo rappresentato dalla richiesta di 16 anni di detenzione formulata dal Pm Maurizio Giordano nei confronti di Michele Zagaria, accusato di aver guidato dal carcere per oltre dieci anni il clan dei Casalesi ben oltre il suo arresto, (2011).
Un primo segnale forte dello Stato contro il fenomeno ampiamente diffuso dei boss ed esponenti di spicco della criminalità organizzata che dal carcere continuano a comandare.
E se Zagaria, proprio come Rapisarda, secondo i giudici antimafia, utilizzava “frasi sibilline”, sguardi e segnali durante i colloqui con i familiari, c’è chi invece comanda via telefono.
Il continuo ritrovamento di telefonini in gran parte arrivati dal “cielo” (attraverso i droni) è il primo elemento per interrompere, una volta per tutte, il “comando” dal carcere ai territori oltre alle minacce ed estorsioni.
Non si sottovaluti – afferma il segretario del Sindacato Polizia Penitenziaria – che le mafie approfittando di questa fase di crisi internazionale stanno concentrando i propri interessi sulle attività economiche e produttive per acquisire alberghi, ristoranti, imprese, intensificare l’usura, proprio come riprova il caso dello ‘ndranghetista detenuto nel carcere lombardo”.
“L’effetto devastante di tutto questo è lo scoraggiamento per le vittime delle mafie a denunciare e collaborare con i magistrati che nel caso dei boss dei Casalesi sono intenzionati a dare una lezione”.