“Se si vuole realmente tenere alto l’impegno contro la mafia e la criminalità organizzata non si può più sottovalutare la situazione delle carceri dove sono rinchiusi i capi di ‘ndrangheta, camorra e mafia che dalle celle anche degli istituti penitenziari con detenuti sottoposti al 41 bis continuano ad impartire ordini. Perciò la lotta ai boss e ai componenti dei clan deve cominciare dal carcere.” Lo sostiene il segretario generale del SPP (Sindacato Polizia Penitenziaria) Aldo Di Giacomo da 31 giorni è in sciopero della fame per protesta contro alcune modifiche al sistema carcerario che lo stanno rendendo il peggiore della storia italiana, e che si riverbera fuori dalle celle nelle nostre città con una diffusa situazione di totale insicurezza per i cittadini abbandonati a se stessi e ai quali si nega persino il diritto alla legittima difesa. “La decisione del Consiglio dei ministri di sciogliere per “gravi condizionamenti da parte della criminalità organizzata” cinque consigli comunali calabresi tra cui quello di Lamezia Terme, terza città della Calabria – aggiunge – richiede pertanto il rafforzamento della vigilanza in tutti gli istituti penitenziari e non solo nei 12 calabresi. In proposito non ci piace che con l’applicazione del cosiddetto “decalogo” per i detenuti sottoposti al 41 bis si passi dal carcere “duro” al carcere “speciale” magari con l’illusione di bloccare i “pizzini” che i boss dalle celle diffondono comodamente persino con il telefonino”. A 25 anni dall’introduzione del regime carcerario duro per i boss il problema centrale non è certo quello di regolamentare e uniformare in tutti gli istituti penitenziari la reclusione dei 728 detenuti ad oggi sottoposti al 41 bis, quanto, piuttosto, almeno per noi, è garantire che il regime carcerario non diventi “più comodo” e che, come è accaduto in concomitanza con le commemorazioni del Giudice Falcone, alcuni boss siano trasferiti più vicino a casa. Come è indispensabile scongiurare che i mafiosi si scelgano il proprio carcere facendo di tutto per evitare ad esempio il Bancali a Sassari. Ai boss – dice Di Giacomo – non piace il carcere sardo e per questo presentano centinaia di ricorsi contro ogni cosa, prendendo di mira nelle loro istanze la direzione del carcere che si limita ad applicare le regole. C’è un altro aspetto della circolare del Dap sulle modifiche al 41 bis che viene fortemente sottovalutato: i Garanti per i detenuti, come quello istituito dal Comune di Reggio Calabria e che la Regione Calabria si appresta ad istituire, hanno libertà di incontrare i boss con un elevato rischio di diffusione di notizie utili per le organizzazioni criminali all’esterno. A più di un mese dall’inizio della mia protesta con lo sciopero della fame e dall’avvio di un tour tra le carceri e le città italiane – riferisce Di Giacomo – registro numerosi attestati di sostegno innanzitutto da parte di cittadini che hanno compreso la ragione centrale: garantire sicurezza e legalità in carcere e fuori perché si distingua con nettezza chi sono “le vittime e chi i carnefici”.