“La violenta rissa a coltellate tra detenuti di Poggioreale-Napoli di oggi è l’ennesimo caso di scontri tra gang e clan presenti negli istituti penitenziari che si contendono il controllo di traffici e che vogliono imporre il proprio comando.
Cosa vogliamo aspettare ancora che accada la “mattanza” avvenuta nelle carceri dell’Ecuador?”.
Così il segretario generale del S.PP. Aldo Di Giacomo che aggiunge: “i quotidiani casi di risse e violenza proprio come quello di Poggioreale avvengono per il traffico di droghe che ha assunto aspetti sempre più inquietanti e persino di telefonini ma anche per esercitare pressioni sui detenuti più deboli, per arruolarne al proprio clan, per mandare messaggi all’esterno del carcere, ai territori contesi tra gli stessi clan campani.
Il risultato è che il carcere si è trasformato in uno dei quartieri o delle zone più pericolose controllati da mafia, camorra e ndrangheta, oltre che da gang africane.
Siamo ad una situazione di autentica emergenza, che ha ricadute anche fuori dagli istituti penitenziari dove si trasferiscono gli scontri tra i clan con conseguenze sulla sicurezza dei cittadini.
Ad accrescere il livello degli scontri – continua il segretario generale del S.PP. – è il clima di delegittimazione del personale penitenziario che ormai è fortemente diffuso dai fatti di Santa Maria Capua Vetere che alimenta la convinzione tra i capi gang di poter adesso osare sempre di più nella sfida allo Stato.
Il Premier Draghi si è richiamato ai principi dell’Articolo 27 della Costituzione che riguardano lo strumento della detenzione (“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”) ma – aggiunge Di Giacomo – non ha fatto alcun richiamo ai diritti del personale penitenziario che è stato messo nelle condizioni di non potersi nemmeno difendere dalle aggressioni.
Sono tanti infatti i colleghi che si ritrovano in inchieste giudiziarie che durano anni solo per aver esercitato il diritto-dovere di contenimento di fronte alla violenza e ad atti di rivolta dei detenuti.
Se si vuole che il personale debba subire passivamente le aggressioni lo si dica chiaramente.
È bene che i cittadini si rendano conto che nelle carceri non sono reclusi vittime o angeli, ci sono autori di crimini efferati per i quali da tempo invece si sostengono la clemenza e provvedimenti di indulto.
Opinionisti, commentatori, politici dimostrano di avere la mente annebbiata e una grande confusione non distinguendo chi svolge il delicato servizio di controllo negli istituti penitenziari da chi ha compiuto crimini orrendi, con pesanti condanne, e alimenta l’illegalità diffusa.
Noi non ci stiamo a mettere sullo stesso piano i servitori dello Stato e i criminali che pretendono il controllo del carcere e sono un costante pericolo dell’ordine pubblico e la minaccia per la libera convivenza dei cittadini”.