“La grappa fatta in cella da detenuti a Terni non rappresenta purtroppo l’unica distilleria artigianale nei penitenziari.
Nelle carceri italiane sarebbero circa il 20% le persone con problemi di alcol correlati tra le oltre 50mila persone ristrette, pari ad un numero vicino alle 10mila unità”.
A sostenerlo è il segretario generale del S.PP. Aldo Di Giacomo per il quale: “la fabbricazione di alcool in cella non è un mistero, salvo a scoprirlo solo in occasione di fatti di cronaca come quello di Terni.
Innanzitutto, emerge la necessità di attrezzarsi con strumenti di rilevazione epidemiologica semplici e generalizzabili a tutti gli Istituti di pena italiani e a tutta l’Area penale, tali da permettere l’acquisizione di consapevolezza istituzionale e di attivare forme di intervento e trattamento dei detenuti con problemi di alcol.
Diventa urgente tra i programmi di assistenza sanitaria carceraria, che sono fermi agli anni novanta per carenza di personale e strumentazioni, la sensibilizzazione-formazione del personale periferico dell’amministrazione giudiziaria e i gruppi di trattamento degli alcolisti detenuti.
Il problema centrale come hanno rilevato i medici della Simsp (medici penitenziari) nel loro recente congresso, riprendendo il nostro allarme sui suicidi (80 dall’inizio dell’anno), è il passaggio delle competenze dal dicastero della Giustizia al SSN, avvenuto nel 2008 in modo disordinato, che ha provocato una frammentazione tra i servizi che le diverse regioni non sono in grado di erogare.
Di qui l’effetto come quello che riguarda detenuti con problemi psichiatrici e tossicodipendenti da sempre sottovalutato e sottodimensionato: gli episodi di autolesioni di detenuti fragili che appartengono a queste categorie sono circa dieci ogni giorno, quattro sono le aggressioni che quotidianamente i poliziotti penitenziari subiscono da detenuti con problemi psichiatrici e due sono i tentativi di suicidio che la polizia penitenziaria riesce ad evitare”.