“L’incendio appiccato in cella da un giovane nordafricano nel carcere di Airola, nel Beneventano, è solo la riprova che i 17 Istituti Penali per minorenni che ospitano oggi circa 300 giovanissimi, un numero forse mai così basso dal 2019, a causa della diffusione della pandemia che ha orientato i magistrati a ricorrere ad altre misure, a fronte dei circa 15mila ragazzi che sono in carica al nostro sistema giudiziario, è identica a quella delle carceri per gli adulti.
Piuttosto bisogna fare attenzione all’effetto emulazione: sono numerosi i casi di detenuti in questa stagione che incendiano suppellettili della cella e danno vita a mini- rivolte, i più giovani seguono l’esempio”.
A sostenerlo è il segretario generale del S.PP. – Sindacato Polizia Penitenziaria – Aldo Di Giacomo da giorni in sciopero della fame ed impegnato in un tour attraverso le carceri per denunciare l’emergenza e chiedere misure urgenti, prima del nuovo Parlamento e del nuovo Governo: “Negli istituti per minori, come accade in tutti gli altri nessuno si pone il problema di cosa fare per la rieducazione tanto più che l’attuale sistema carcerario per minori non serve a nulla.
Ma di questo i politici in campagna elettorale preferiscono non parlare. Anzi il 90% di chi entra in un istituto per minori si avvia verso una “carriera criminale” passando come stadio successivo immediato al carcere normale.
Il 70% dei ragazzi entra per custodia cautelare, con una permanenza media di poco superiore ai 100 giorni”.
La novità degli ultimi anni riguarda la presenza in forte aumento di ragazzi stranieri che ad oggi sono intorno al 50% del totale. In questa situazione esplosiva – dice il segretario del S.PP. – diventa fondamentale avviare percorsi innanzitutto di studio e poi di formazione al lavoro e, contestualmente, rafforzare le attività ed esperienze di lavori socialmente utili.
I ragazzi devono imparare un mestiere e convincersi che il proprio riscatto è nel non delinquere.
E siamo fortemente preoccupati perché la sicurezza dei cittadini, come stiamo ripetendo da tempo, si costruisce a partire dalla gestione dei penitenziari dove comandano ancora “loro”, i boss, i capo-clan, i più violenti, che continuano a rappresentare per troppi giovanissimi esempi da emulare.