“Leggere le valutazioni del Procuratore Capo di Bologna Giuseppe Amato sulla situazione del carcere del capoluogo emiliano, che è quella “tipo” di tutte le carceri del Paese, ci sprona a continuare la nostra iniziativa sindacale e tra l’opinione pubblica per fare chiarezza sul nostro sistema penitenziario.
Noi lo ripetiamo da anni e il magistrato di Bologna lo conferma: “in carcere chi ha i soldi si fa arrivare i cellulari e continua a comandare da dietro le sbarre”.
Così il segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria – S.PP. – Aldo Di Giacomo: “Verificare una comune consapevolezza con magistrati illuminati, attenti a cogliere tutti i segnali che provengono dal carcere – aggiunge – ci ripaga, almeno in parte, della profonda amarezza per la disattenzione e la grave sottovalutazione espresse dalla politica e dalle istituzioni.
Accade che lo Stato abbia ammainato “bandiera bianca” cedendo il controllo delle carceri, con traffici di telefonini, droga, persino armi, a clan e gruppi criminali che impongono, come accade senza denunce, persino violenze sessuali e soprusi di ogni genere.
“Ad accrescere il livello di tensione – continua il segretario generale del S.PP. – da una parte la diffusa convinzione di restare impuniti nel commettere reati nei penitenziari e dall’altra il clima di delegittimazione del personale penitenziario che ormai è fortemente diffuso, dai fatti di Santa Maria Capua Vetere, che alimenta la convinzione tra i capi gang di poter adesso osare sempre di più nella sfida allo Stato che ha ammainato bandiera bianca.
Il Premier Draghi si è richiamato ai principi dell’Articolo 27 della Costituzione che riguardano lo strumento della detenzione (“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”) ma – aggiunge Di Giacomo – non ha fatto alcun richiamo ai diritti del personale penitenziario che è stato messo nelle condizioni di non potersi nemmeno difendere dalle aggressioni.
Sono tanti infatti i colleghi che si ritrovano in inchieste giudiziarie che durano anni solo per aver esercitato il diritto-dovere di contenimento di fronte alla violenza e ad atti di rivolta dei detenuti.
Se si vuole che il personale debba subire passivamente le aggressioni lo si dica chiaramente.
È bene che i cittadini si rendano conto che nelle carceri non sono reclusi vittime o angeli, ci sono autori di crimini efferati per i quali da tempo invece si sostengono la clemenza e provvedimenti di indulto.
Noi non ci stiamo a mettere sullo stesso piano i servitori dello Stato e i criminali che pretendono il controllo del carcere e sono un costante pericolo dell’ordine pubblico e la minaccia per la libera convivenza dei cittadini.
Soprattutto dopo gli impegni solenni del presidente Draghi e del ministro Cartabia, è ora che ci si occupi seriamente dei problemi del sistema penitenziario senza illudersi che sfollando le celle, tutto si risolva di colpo”.