Ad oltre due anni da quando venne ritrovata in ospedale a Venezia con una ferita alla testa noi continuiamo a chiedere la verità. Ad affermarlo è il segretario generale del S.PP. (Sindacato Polizia Penitenziaria) Aldo Di Giacomo aggiungendo che è passato più di un anno da quando il Ministero di Grazia e Giustizia annunciò l’impegno ad accelerare le indagini per dare notizie certe e trasparenti a noi e alla famiglia, ma purtroppo non è accaduto nulla.
Il pm aveva chiesto l’archiviazione dell’inchiesta sul tentato omicidio, rigettata dal gip dopo l’opposizione della famiglia, che ha chiesto e ottenuto ulteriori indagini su diversi punti: “Lista delle celle al quale era agganciato il cellulare, il dna sull’arma, il computer inattivo, l’assenza di sangue sulla parte finale della pistola, le denunce per il presunto traffico di stupefacenti all’interno del carcere, oltre alla vita privata e sociale”.
Persino dopo l’autopsia i numerosi interrogativi sulla morte di Sissy rimasta vittima di un episodio alquanto inquietante all’interno dell’ascensore dell’ospedale civile di Venezia non hanno risposte.
Un proiettile l’aveva raggiunta lasciandola agonizzante e in coma per due anni prima di morire nel mese di gennaio scorso.
Da allora la Procura sta ancora indagando quel colpo dalla pistola di ordinanza di Sissy, ritrovata senza impronte.
Proprio questa possibilità, collegata ad altri elementi investigativi, ha permesso di scacciare l’ipotesi di un gesto suicida.
Una tesi inizialmente rilanciata dalla stampa in prima battuta e a lungo vagliata dalla Procura di Venezia come sola pista possibile.
Per questo intendiamo riprendere la mobilitazione il 30 agosto con azioni clamorose di protesta, sotto il ministero della giustizia. Per noi – dice Di Giacomo – questo, purtroppo, è solo un caso del totale disinteresse del Governo e della politica sulle condizioni di lavoro e di vita del personale penitenziario.
Lo abbiamo detto commentando il decreto sicurezza bis: si sono dimenticati di noi. E noi che non siamo fantasmi e non vogliamo essere oggetto di manovre propagandistiche – conclude – ci faremo vedere continuando la campagna “Noi le vittime Loro i carnefici” che si è svolta in questi mesi con sit-in e manifestazioni davanti gran parte delle carceri del Paese.