8 agosto 2020. Detenuti in alta sicurezza: un segreto di Pulcinella, ma nessuno si muove

Attività, Comunicati, Editoriale Aldo Di Giacomo

Il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede sapeva, il Sottosegretario alla Giustizia Vittorio Ferraresi sapeva, il Capo Gabinetto Giustizia Fulvio Baldi sapeva, il Capo DAP Francesco Basentini sapeva, il Direttore Generale Detenuti e Trattamento del DAP Giulio Romano (o il suo facente funzioni) sapeva, il Direttore “alta sicurezza” del DAP Caterina Malagoli sapeva.

Sapevano tutti e lo sanno ancora che più di 3.800 detenuti in “alta sicurezza” usufruivano e usufruiscono delle cosiddette “celle aperte”. Eppure, nemmeno dopo l’audizione alla Commissione parlamentare antimafia dell’ex Capo DAP Basentini che ha rivelato alcuni preoccupanti retroscena su come lui lo sia venuto a sapere e i primi tentativi di rimediare a questa situazione, nessuno ancora pare si sia ancora mosso.La questione non è di poco conto.

Le persone detenute in “alta sicurezza” nelle carceri italiane appartengono per lo più ad associazioni criminali di stampo mafioso. Sono ex detenuti al 41-bis declassificati, oppure detenuti che non hanno trovato posto negli spazi detentivi adibiti al 41-bis perché non c’è spazio sufficiente per ospitarli (succede anche questo), ma sono anche detenuti individuati dalla magistratura come le “seconde linee” dei boss mafiosi.

Alcuni di loro, nel corso delle indagini e dei processi ancora in atto, potrebbero essere individuati come esponenti di primo livello.

A parte quelli che stanno scontando la pena ai domiciliari per il presunto pericolo da contagio da covid-19, sono ancora tutti ristretti nelle carceri, ma con le “celle aperte” cioè uno di quegli espedienti trovati dall’amministrazione penitenziaria (con l’avvallo del Governo), per evitare le sanzioni della Commissione europea, minacciate dopo che l’Italia s’era fatta trovare con le carceri sovraffollate.

In pratica sono liberi di utilizzare tutti gli spazi comuni di una parte del carcere in cui sono ristretti, per quasi tutta la giornata. Un espediente appunto, oltretutto assunto in periodo emergenziale per evitare le sanzioni e, come chiaramente indicato dalle circolari attuative del DAP, da utilizzare per i detenuti comuni e solo in via “sperimentale” per un ristrettissimo gruppo di detenuti in alta sicurezza: qualche decina al massimo.

Francesco Basentini ha rivelato qualche giorno fa, in audizione, che a giugno 2019 erano più di 3.800 i detenuti in “alta sicurezza” liberi di aggirarsi negli spazi comuni e il pericolo di una situazione del genere è facilmente intuibile.

Le cronache e le indagini di questi ultimi anni, hanno dimostrato come sia facile introdurre telefoni e stupefacenti nelle carceri italiane. I primi, al contrario di quanto si affrettano ad affermare alcune associazioni ad ogni ritrovamento, non sono utilizzati per coltivare gli affetti familiari (posto che, per un mafioso, coltivare gli affetti “familiari” non sia già un problema di sicurezza per lo Stato), ma vengono utilizzati per impartire ordini e gestire attività criminali: anche questo confermato da numerose indagini e processi. T

utto questo chiarisce quanto le carceri italiane siano ben lontane dal rappresentare quel luogo di espiazione della pena e recupero alla società dei detenuti che si “tende” a raggiungere, come recita l’art. 27 della Costituzione e tutto questo chiarisce anche quanto sia difficile per la Polizia Penitenziaria poter controllare in modo efficace tali “dinamiche”, soprattutto dopo l’introduzione di quell’altro espediente denominato “sorveglianza dinamica”, prospettato come evoluzione del sistema penitenziario italiano, ma che altro non è che una delle altre “soluzioni” del DAP per mascherare la carenza d’organico del Corpo di Polizia Penitenziaria.

Ebbene, anche un bambino delle scuole elementari capirebbe che non è buona cosa lasciare le seconde linee delle più influenti associazioni criminali mondiali, libere di aggirarsi nel proprio ambiente detentivo, senza poter far altro che tessere rapporti, rafforzare la propria posizione all’interno dell’associazione criminale e magari continuare ad impartire/ricevere ordini per proseguire, anche dal carcere, la propria carriera criminale.

Lo capirebbe un bambino, ma evidentemente non lo capiscono un Ministro, un Sottosegretario, un Capo DAP, un direttore generale detenuti e trattamento, un direttore “alta sicurezza”… ma quel che è ancora più grave, se mai fosse possibile che ci sia qualcosa di più grave dell’inerzia dei diretti responsabili del sistema penitenziario italiano, è che pare non sia ancora intervenuto nessuno dei “controllori” esterni più qualificati.

Mi riferisco ai tanti magistrati che non perdono occasione di parlare di quanto fossero bravi Falcone e Borsellino, ma che evidentemente non riescono a leggere la quotidianità.

Mi riferisco ai tanti giornalisti “antimafia”, espertissimi dei curricula dei primi dieci/venti boss mafiosi, ma che snobbano i detenuti in alta sicurezza.

Mi riferisco a tutte quelle Istituzioni (Commissioni, Direzioni nazionali, Partiti, etc.) che non sono ancora saltate sulle proprie poltrone per cercare di porre rimedio ad una  situazione che dura da anni.

Il Segretario Generale

Dott. Aldo Di Giacomo

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