“Più detenuti in carcere e meno detenuti ammessi a lavoro sono una miscela esplosiva delle crescenti tensioni che il personale di Polizia Penitenziaria è costretto a fronteggiare tutti i giorni”.
Ad affermarlo è il segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo che fa riferimento ai dati della “Relazione sull’attuazione delle disposizioni di legge relative al lavoro dei detenuti” per l’anno 2018, inviata al Parlamento dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Lo scorso anno i detenuti lavoranti sono stati 17.614, rispetto ai 18.405 del 2017, il 4,29% in meno.
Eppure nello stesso periodo i detenuti in carcere sono invece saliti da 57.608 a 59.655. Un aumento di presenze che non ha portato ad un aumento del lavoro. Così nel 2018 la percentuale dei detenuti lavoranti rispetto al totale è stata del 29,52%, rispetto al 31,94% del 2017. Stando ai dati del ministero della Giustizia, per chi è stato ‘dentro’ e poi esce – evidenzia Di Giacomo – la recidiva è altissima. Tocca il 68,4 per cento.
Ma essendo calcolata solo sui reati dei quali viene scoperto il colpevole, si toccano punte del 90 per cento. In pratica, 9 detenuti su 10 una volta usciti dal carcere delinquono ancora. Il carcere messo peggio è ancora una volta quello di Napoli Poggioreale con una recidiva del 90% e con il 26,3% di detenuti che lavorano.
Cambia tutto, invece, se i detenuti durante la detenzione hanno un lavoro vero. Per chi finisce la pena usufruendo di misure alternative la recidiva si abbatte del 15-19%, per chi inizia un’occupazione in carcere si abbassa addirittura all’1-2 per cento. E solo facendo un conto approssimativo, considerando che in media il costo di un detenuto per lo Stato va dai 200 ai 250 euro al giorno, si calcola che per ogni punto percentuale in meno di recidiva si risparmierebbero 40 milioni di euro all’anno.
Dunque – continua il segretario del S.PP. – accrescere le opportunità di lavoro dentro e fuori dal carcere produce più effetti benefici che il Governo non può continuare a sottovalutare.
Come non può restare inattuato l’art. 15 dell’ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975 n. 354) che individua il lavoro come uno degli elementi del trattamento rieducativo stabilendo che, salvo casi di impossibilità, al condannato e all’internato è assicurata un’occupazione lavorativa”.