17 giugno 2019. Rimpatri migranti: Di Giacomo, non possiamo aspettare cento anni

Attività, Editoriale Aldo Di Giacomo

Se a dirlo è uno come il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, che con i numeri ha particolare confidenza, c’è da credergli: «In Italia ci sono circa 600 mila irregolari, ma ci vorranno più di 100 anni per rimpatriarli tutti».

A sostenerlo è il segretario del Sindacato Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo aggiungendo che non basta riferire con enfasi, come fa il sito del Ministero dell’Interno, che gli sbarchi dal primo gennaio al 14 giugno scorso stati solo 2.144 contro i 15.571 del primo semestre 2018 se poi sono state respinte 45mila richieste di asilo e i rimpatri si riducono ad appena 5mila, ai quali aggiungere i 1200 rispediti in Italia dalla Germania con 4600 profughi che sempre in Germania aspettano lo stesso destino. Il problema – continua – resta pertanto quello del sistema di accoglienza in funzione, vale a dire di dove sono collocati gli immigrati.

Nel comunicato stampa del 12 giugno scorso, il Ministro esprime soddisfazione per l’ennesima chiusura di un centro (l’Hub Mattei dopo i CAS di Cona, Bagnoli, Castelnuovo di Porto) affermando: “Basta con le maxi strutture piene di immigrati, costose, spesso degradate e dove non si fa integrazione ma solo business”. in Italia ci sono già tra i 40 e i 60mila irregolari in più. E con le politiche restrittive del Viminale, aumenteranno.

A detta dell’Ispi, nel 2020 saranno più di 700mila le persone che in Italia non avranno la possibilità di lavorare, affittare una casa o accedere all’istruzione in modo regolare, di fatto costrette all’illegalità. Ebbene – dice Di Giacomo – dove finiscono i migranti? Il rischio che si trasformino in clandestini dediti a spaccio di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, persino traffico di organi umani è già reale come testimonia la ramificazione sul territorio della mafia nigeriana diventata in poco tempo la più potente organizzazione criminale nel nostro Paese.

E non si sottovaluti ulteriormente che nelle carceri italiane i nigeriani affiliati alle quattro grandi cosche africane, conosciute anche come Cult – Eiye, Black Axe, Viking e Mefite – hanno sopraffatto le organizzazioni mafiose e criminali storiche italiane nel controllo dei detenuti”. Di Giacomo si rifà ai numeri: al 30 aprile scorso negli istituti di pena del Paese sono detenuti 1.607 nigeriani di cui 982 sono imputati e 625 sono condannati, che rappresentano quasi l’8% della popolazione carceraria straniera, con un incremento significativo di anno in anno (nel 2017 erano poco più del 5%)”.

“Nel 2017, secondo dati più recenti, su 12.387 reati firmati dalla criminalità nigeriana (un quinto di quelli commessi da tutti gli stranieri da noi), 8.594 avvengono al Nord, 1.675 al Centro, 1.434 al Sud, 684 nelle Isole.  
Da mesi abbiamo sollecitato il Ministero di Grazia e Giustizia e l’Amministrazione Penitenziaria a non sottovalutare la crescente pericolosità della mafia nigeriana nelle carceri, nei Centri di Accoglienza per richiedenti asilo dove – aggiunge Di Giacomo – avvengono l’affiliazione o il reclutamento delle cosche africane”. 

“Quanto alla pericolosità delle quattro grandi cosche africane, allo sfruttamento della prostituzione e al traffico di droga vanno ad aggiungersi altri reati come la tratta di esseri umani e riduzione in schiavitù”. Inoltre, abbiamo messo in guardia il Ministro alla Giustizia Bonafede contro il fenomeno di affiliazione che avviene nelle carceri ad opera di nigeriani giovanissimi e autori di reati minori secondo i meccanismi collaudati dai capimafia.

La cella diventa il luogo preferito per “formare” nuovi criminali sempre più spietati come testimoniano tante aggressioni a persone anziane e violenze sessuali contro donne italiane.

È il clima buonista dell’accoglienza a favorire la ramificazione di nigeriani nelle nostre città, un clima che non può essere ulteriormente tollerato provvedendo al rimpatrio di tutti i criminali. Ma non certo tra 100 anni”.

Il Segretario Generale

Dott. Aldo Di Giacomo

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