“L’indagine, condotta dagli agenti della Squadra mobile di Brescia e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Brescia, con l’arresto degli affilati ad una “cult”, i gruppi criminali provenienti dalla Nigeria, conferma la brutalità della mafia nigeriana.
Ma attenzione: non basta arrestarli perché in carcere sono comunque pericolosi sia in azioni violente contro il personale di polizia penitenziaria ed altri detenuti che in attività di reclutamento per le “cult” di appartenenza”.
A sostenerlo è il segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo per il quale “a questi nigeriani violenti che non si fanno scrupoli persino nella tratta di organi umani va applicato lo stesso regime del 41 bis per i mafiosi italiani”.
“Nelle carceri del nostro Paese al 31 agosto scorso – riferisce il segretario del S.PP. – sono detenuti 1.654 nigeriani di cui 995 imputati e 659 condannati che rappresentano l’8% della popolazione carceraria straniera con un incremento annuo del 5% e secondo gli ultimi dati disponibili su 12.387 reati firmati dalla criminalità nigeriana (un quinto di quelli commessi da tutti gli stranieri da noi),
8.594 avvengono al Nord, 1.675 al Centro, 1.434 al Sud, 684 nelle Isole. Da mesi – sottolinea – abbiamo lanciato l’allarme e sollecitato il Ministero della Giustizia e l’Amministrazione Penitenziaria a non sottovalutare la crescente pericolosità della mafia nigeriana nelle carceri, nei Centri di Accoglienza per richiedenti asilo dove – aggiunge Di Giacomo – avvengono l’affiliazione o il reclutamento delle cosche africane.
La cella diventa il luogo preferito per “formare” nuovi criminali sempre più spietati come testimoniano tante aggressioni a persone anziane e violenze sessuali contro donne italiane. È il clima buonista dell’accoglienza – conclude Di Giacomo – a favorire la ramificazione di nigeriani nelle nostre città, un clima che non può essere ulteriormente tollerato provvedendo al rimpatrio di tutti i criminali.
Ma – aggiunge Di Giacomo – quanto riferiscono i particolari su inchieste come questa di Brescia, le cronache dei giornali e i servizi televisivi in particolare sulla criminalità nigeriana che ormai ha sfidato quella campana, calabrese, pugliese, fuori e dentro gli istituti penitenziari, non consente più di voltare la testa dall’altra parte.