“Chi ripaga e ridà dignità all’agente di polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Torino agli arresti domiciliari con accuse infamanti e che il Tribunale del Riesame di Torino ha rimesso in libertà? “
È l’interrogativo che lancia Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria dopo l’ordinanza annullata e l’immediata remissione in libertà disposta dal Tribunale del Riesame di Torino, che ha accolto il ricorso dell’avvocato del 27enne agente di polizia penitenziaria di Sant’Angelo a Cupolo.
“Anche in questo caso, come accaduto per altri – aggiunge – la segnalazione è partita dal Garante comunale (di Torino) dei detenuti, un istituto che si rileva sempre più inadeguato, al punto che come sindacato abbiamo chiesto il superamento del Garante nazionale, figuriamoci di quelli nominati senza tenere in alcuna considerazione dell’esperienza professionali di nomine politiche”.
“Questa sentenza – dice Di Giacomo – fa giustizia della “gogna mediatica” con accuse infamanti e fantasiose, a cui sono sottoposti alcuni nostri colleghi costretti a subire una situazione difficile, di natura psicologica, di rapporto in famiglia oltre a pagarsi le spese di difesa.
La nostra – spiega Di Giacomo – non è difesa d’ufficio ma più semplicemente l’affermazione del principio giuridico che senza sentenze definitive di condanna non abbiamo alcuna intenzione di restare a braccia conserte ad assistere alla “caccia al carceriere brutale”.
Tanto più che nella stragrande maggioranza dei casi si chiude, proprio come è accaduto a Torino, con l’assunzione. Ed è semplicemente intollerabile che in tanti – Garante dei detenuti, politici, associazioni – si indignino di fronte a notizie di presunte violenze ai danni di detenuti e non dicano una sola parola sulle aggressioni che ormai quotidianamente gli agenti penitenziari subiscono da parte degli stessi detenuti che vogliono imporre la loro “legge” per il controllo delle carceri.
Anzi – continua il segretario del S.PP. – sono proprio il tipo di inchieste come quella di Torino che finiscono per delegittimare chi ha il compito di servire lo Stato e garantire l’osservanza del regolamento carcerario.
Dalla nostra esperienza – evidenzia Di Giacomo – sappiamo bene che solo il 5 per cento di inchieste analoghe con il coinvolgimento di colleghi si è risolto con condanne. C’è dunque sicuramente chi nel Governo, al Ministero, al Dap, ma più in generale nel Parlamento e in politica sottovaluta un aspetto: la delegittimazione del personale penitenziario, da una parte, rafforza i gruppi criminali e mafiosi che nelle carceri puntano al controllo totale e a proseguire l’attività impartendo ordini a quanti sono in libertà, come accade con i boss della mafia intercettati al telefono, oltre ad incrementare le aggressioni agli agenti; dall’altra, equivale alla resa incondizionata dello Stato.
È questa una fase ancor più delicata – dice il segretario del S.PP.: – in quanto vede il Governo Conte 2 intensificare la “politica del buonismo” avviata con il precedente Governo pensando all’abolizione del carcere ostativo.
Noi – conclude Di Giacomo – non consentiremo di “macellare” i nostri colleghi avvertendo che le conseguenze sono quelle di portare lo Stato al macello.