“Siamo alla conferma della gravità della nostra denuncia: nel carcere di Taranto i telefonini sono stati usati dagli uomini dei clan per lo spaccio di droga dentro e fuori il carcere e per ordini agli uomini sui territori”.
Ad affermarlo è il segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo sottolineando che “è difficile aggiornare il numero cellulari e sim ritrovati nei 190 istituti italiani. Nello scorso anno almeno DUEMILA.
Quasi DIECI per ogni carcere. Con un aumento del 500 per cento rispetto al 2016. Numeri che purtroppo non indicano fedelmente la situazione.
Questo significa – aggiunge – che per i capi delle organizzazioni criminali è una consuetudine diffusa impartire ordini con i telefonini, mentre si è rivelato un autentico flop il programma per dotare almeno un primo numero di carceri di strumentazioni tecniche idonee a rilevare la presenza nelle celle di telefonini.
Ebbene, dopo l’annuncio si sono perse le tracce”.
«La politica, il Parlamento e il Ministro di Grazia e Giustizia – continua – aprano gli occhi e si rendano conto che la situazione di illegalità e non sicurezza nel carcere, dovuta principalmente a responsabilità politiche, si ripercuote direttamente e pesantemente sui cittadini fuori dal carcere, perché la situazione sempre più difficile dei nostri istituti di pena è la cartina al tornasole dell’insicurezza fuori e nelle città».
Di Giacomo – impegnato in un tour tra gli istituti penitenziari delle principali città e nello sciopero della fame giunto al dodicesimo giorno per accendere l’attenzione di Parlamento e politica sull’emergenza del sistema carcerario e sulla sicurezza dei cittadini – dopo la tappa del tour a Foggia nella scorsa settimana annuncia che tornerà presto in Puglia.
Il segretario del S.PP. sta pagando in prima persona l’esposizione contro la criminalità: dopo il pacco bomba fatto recapitare nella sua abitazione, lettere e mail dai toni chiaramente di intimidazione ed altro, ha ricevuto sempre a casa sua una lettera contenente due proiettili di arma da fuoco e un messaggio di minacce dirette a lui e alla sua famiglia.
Ma – sottolinea – non mi lascio intimorire come dimostrano le prime azioni di protesta a cui faranno seguito altre più clamorose sino al sit-in davanti al Parlamento organizzato nella prossima settimana.
Ad incoraggiarmi sono già oltre 8 mila i messaggi di solidarietà e sostegno arrivati nel giro di pochi giorni.
Se lo Stato ha ammainato bandiera bianca e delegato il controllo degli istituti penitenziari ai capi clan, ed intende avviare l’operazione “liberi tutti”, almeno noi non ci rassegniamo affatto, siamo e saremo a tutela della legalità, dell’autentica giustizia, della sicurezza dei cittadini”.