“L’ispezione al carcere di Frosinone disposta dal Ministro Cartabia non deve diventare l’ennesimo tentativo per archiviare in fretta e con una semplice formalità (dovuta) un fatto gravissimo.
Ne è sufficiente aver trasferito il detenuto che ha sparato.
Non c’è più spazio per le formalità e le ritualità.
Piuttosto si colga il nuovo campanello d’allarme e si intervenga con fermezza per ristabilire il controllo del carcere da parte dello Stato”.
È quanto sostiene il segretario generale del S.PP. Aldo Di Giacomo: “Ben venga l’accertamento dei fatti e soprattutto come è arrivata un’arma (un drone?) in un carcere che dispone di una sezione di alta sicurezza ma – aggiunge – si tiri una linea netta di demarcazione: vogliamo che gli istituti penitenziari siano sotto il controllo di organizzazioni criminali, come del resto è già avvenuto nella stagione delle rivolte della primavera 2020 oppure mettere in condizione il personale penitenziario di poter svolgere, innanzitutto in condizioni di sicurezza e di serenità, il proprio lavoro?
Per noi quanto è successo non può essere derubricato a “caso di eccezionale gravità ma isolato” come si tenta di fare in queste ore.
È un ulteriore segnale che – afferma Di Giacomo – la campagna di delegittimazione della polizia penitenziaria accentuata negli ultimi mesi, a seguito dei fatti di Santa Maria Capua Vetere, incoraggia criminali e bande a rialzare la testa per imporre la propria legge sino a permettersi, a colpi di pistola, di regolare i conti tra affiliati a cosche.
Se questo non fa allarmare ed intervenire tanto vale che si consegnino le chiavi delle celle direttamente ai criminali.
Eppure come S.PP. da tempo abbiamo messo in guardia: nelle carceri c’è chi punta a sfruttare la debolezza dello Stato e il clima di “buonismo” nei confronti di criminali che devono scontare lunghe e pesanti condanne.
Non è un mistero per nessuno che il personale penitenziario è il bersaglio dei criminali attraverso una vera e propria “caccia all’uomo” come dimostra l’alto numero di aggressioni e violenze.
II servitori dello Stato nelle carceri – continua Di Giacomo – lavorano in condizioni rese ancora più difficili dalla “spada di Damocle” di finire sotto inchiesta per l’attività di controllo e di contenimento dei detenuti violenti, rischiando di passare per “torturatori” di “persone indifese”, salvo a tirare fuori pistola, armi contendenti, telefonini.
Spero che adesso i cittadini, l’opinione pubblica, i politici si rendano conto che nelle carceri non sono reclusi vittime o angeli, ci sono autori di crimini efferati per i quali da tempo invece si sostengono la clemenza e provvedimenti di indulto.
Se non interverranno misure immediate in direzione delle proposte presentate da anni, tra le quali il potenziamento di mezzi e personale, l’attività di contenimento dei troppi episodi di violenza contro gli agenti torneremo indietro agli anni bui dei terroristi detenuti”.
Lo Stato – conclude Di Giacomo – riaffermi la sua presenza nel carcere e soprattutto dopo gli impegni solenni del presidente Draghi e del ministro Cartabia, è ora che ci si occupi seriamente – non solo attraverso le ispezioni, a cose fatte – dei problemi del sistema penitenziario senza illudersi che sfollando le celle, tutto si risolva di colpo”.