“Dopo il rinvenimento di telefonini di alta tecnologia in celle del carcere di Bologna a disposizione di camorristi e appartenenti a gruppi criminali albanesi viene spontaneo chiedersi se l’operazione di perquisizione compiuta avesse potuto avere lo stesso risultato con l’applicazione delle nuove regole.
Noi siamo sempre più convinti che, senza il fondamentale ‘effetto sorpresa’ e ancor più la necessaria segretezza, le perquisizioni sono del tutto inutili”.
È il commento del segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria S.PP. Aldo Di Giacomo per il quale: “tutto il nuovo sistema, dal preventivo avviso al Garante dei detenuti, all’obbligatoria stesura di un elenco che descriva le modalità di esecuzione delle perquisizioni, a partire da luoghi e a tempi, mezzi, equipaggiamento e l’eventuale apporto del personale appartenente alle Forze di Polizia poste a disposizione dal Prefetto, è quanto di più burocratico ed inefficace possa esistere.
È il caso di ricordare che nel 2020 nelle carceri italiane sono stati rinvenuti 1.761 telefoni cellulari. Erano stati 1.206 nel 2019 e 394 nel 2018.
Solo una piccola parte arriva attraverso droni contro i quali non credo serva a molto la “schermatura” delle carceri come pure qualcuno ha proposto tenuto conto che come è stato accertato la “consegna” avviene in tanti altri modi”.
Continua Di Giacomo: “E’ del tutto evidente che non basta aver inserito, dall’ottobre 2020, il reato per chi introduce o detiene all’interno di un istituto penitenziario telefoni cellulari o dispositivi mobili di comunicazione, a differenza del passato quando era derubricato a semplice illecito disciplinare.
Servono pene severe perché chi riesce a procurarsi un telefono all’interno del carcere lo fa per commettere altri reati, soprattutto per impartire ordini ai clan fuori e non certo limitarsi a parlare con i familiari come sarebbe avvenuto a Bologna con trafficanti di droga”.
Anche per questo le nuove regole sulle perquisizioni – afferma Di Giacomo – sono un ulteriore duro colpo alla legittimazione dell’operato della polizia penitenziaria.
Siamo dunque di fronte ad una “stretta” a senso unico e non certo per colpire il comportamento di clan, organizzazioni e criminali che si sono distinti in tutti questi mesi, dopo i fatti di Santa Maria Capua Vetere, nella “caccia all’agente” con il più alto numero di aggressioni e violenze mai accaduto in un periodo così breve.