4 novembre 2021 Aldo Di Giacomo: il garante dei detenuti che rivendica “liberi tutti” dimentica che la fiducia dello stato è mal ripagata

Attività, Editoriale Aldo Di Giacomo

“Il Garante dei Detenuti, Mauro Palma, continua, a giorni alterni, ad insistere sulla necessità di implementare le pene alternative, rinunciando al suo ruolo istituzionale che dovrebbe essere anche quello di chiedere la certezza della pena.

Limitarsi ad invocare il “liberi tutti”, assecondando una campagna d’opinione che perdura da troppo tempo, conferma la nostra convinzione, espressa in tante occasioni, dell’inutilità di questa figura che anzi produce solo l’effetto di alimentare aspettative.

La figura del Garante dei Detenuti andrebbe sostituita con il Garante della Pena ossia da colui che deve chiedere che i detenuti scontino la loro pena in modo dignitoso garantendo quel percorso rieducativo che è uno dei capi saldi della carcerazione; che chiede la costruzione di nuovi carceri e percorsosi diversi dalla carcerazione per alcool dipendenti, tossicodipendenti e malati psichiatrici; che ponga al centro del proprio mandato la certezza della pena e il rispetto per i familiari delle vittime”.

È quanto afferma il segretario generale del S.PP. Aldo Di Giacomo sottolineando che “il Garante dimentica che la fiducia che lo Stato concede a detenuti, attraverso permessi premio ed altri strumenti di libertà temporale, per non parlare degli arresti domiciliari, è mal ripagata come riprovano i numerosi e continui casi di evasione degli stessi detenuti beneficiari”.

“La percentuale di detenuti in permesso premio che non tornano in carcere – aggiunge Di Giacomo – è aumentata del 40% negli ultimi due anni.

È decisamente superiore per quanti godono degli arresti domiciliari. In un paio di settimane solo in Molise si sono verificati tre casi, uno a Campobasso e due che riguardano detenuti del carcere di Larino che hanno scelto la fuga.

Altro che rieducazione e responsabilità. Le carceri sono diventati alberghi dove non solo è consentito soggiornare quanto più comodamente possibile, con il cellulare per parlare con l’esterno e magari con il vitto per i boss da ristorante gourmet, ma uscire con facilità.

Altro sistema escogitato molto diffuso è quello di far ricorso ad una struttura ospedaliera esterna in modo da rendere più semplice la fuga con il personale di guardia che non riesce per carenza di uomini e soprattutto di mezzi e strumenti ad assicurare la vigilanza.

È il caso di ricordare le fughe direttamente dalle mura di cinta del carcere per rendersi conto che non siamo di fronte al copione di uno dei tanti film che raccontano evasioni spettacolari e romanzate ma siamo di fronte ad un’amara realtà. Sono questi – dice il segretario S.PP. – i problemi veri del sistema penitenziario che continua a registrare atteggiamenti politici demagogici e una generale sottovalutazione.

Sia chiaro: la convenzione siglata dal ministro della Cultura, Dario Franceschini e dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia, che consentirà lavori di pubblica utilità in siti culturali a 102 persone, imputate per reati per i quali è prevista una pena di massimo quattro anni, è un buon passo verso quel tipo di rieducazione che auspichiamo e sosteniamo e che non può invece riguardare detenuti con pene maggiori per delitti e crimini gravi”.

“Si tratta però – afferma Di Giacomo – di verificare cosa accadrà con l’entrata in vigore della cosiddetta delega penale, di recente approvata in Parlamento, che estende il beneficio ai reati che prevedano una pena fino a sei anni, per capire nei fatti quali sono quelli esclusi dal beneficio stesso”.

Nel ricordare i dati di fonte Ministero Grazia e Giustizia – 23.700 persone sono messe alla prova e 8.600 coloro che svolgono lavori di pubblica utilità – Di Giacomo sottolinea che “non ci possono essere sconti per capi clan e criminali che dal carcere continuano i traffici. Il S.PP. non a caso ha condotto la campagna “chi è la vittima e chi è il carnefice” per sconfiggere il pericolo di confusione, per tutelare vittime e famiglie e, in particolare, il lavoro del personale penitenziario.

Come servitori dello Stato in prima linea in una battaglia quotidiana che afferma la legalità nelle carceri – continua – non abbiamo mai pensato alla detenzione come unico strumento di espiazione di pene giudiziarie ma non siamo certo per il “tana per tutti”.

Per questo ben vengano i custodi di musei e siti archeologici se sono persone seriamente intenzionate a riscattare la propria responsabilità e, ripetiamo, dopo condanne brevi”.

Il Segretario Generale

Dott. Aldo Di Giacomo

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