“Ci auguriamo che la decisione del Gup D’Angelo durante quello che è diventato “il processo del secolo contro la polizia penitenziaria” di rimettere in libertà 20 degli agenti coinvolti nell’indagine sulle violenze avvenute nell’aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere cominci a mettere un freno alla campagna d’odio scatenata contro il personale penitenziario di tutto il Paese”.
Così il segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria – S.PP. – Aldo Di Giacomo che aggiunge: “si tenga conto che per una ventina di agenti che non hanno avuto alcun coinvolgimento diretto nei fatti è ancora in vigore l’ingiusta sospensione dal servizio.
Noi non ci siamo mai tirati indietro dal condannare gli atti di violenza e quindi dal chiedere che chi li ha commessi paghi, ma allo stesso tempo – continua il segretario del Sindacato Polizia Penitenziaria – continuiamo a denunciare la campagna mediatica che non accenna a finire con i filmati ripetutamente trasmessi nelle tv e le foto sui giornali.
La strumentalizzazione degli stessi fatti, che ha già prodotto una grave delegittimazione del Corpo, non giova a nessuno e quanto meno a ristabilire la verità dei fatti se non a rispondere a quella sorta di “fame di vendetta” alimentata dal clima buonista nei confronti della popolazione carceraria”.
Per Di Giacomo “il lavoro dei magistrati deve proseguire in un clima di serenità che non metta in sordina le decine di aggressioni in carcere del personale ad opera di detenuti quasi si trattasse di “incidenti sul lavoro”.
Su questo la responsabilità del mondo politico è evidente perché da mesi l’attenzione è tutta rivolta ai detenuti. La riprova più eloquente: si continua a sottovalutare l’incremento dei casi di contagio, ormai oltre il 20% la settimana, tra il personale penitenziario oltre che tra i detenuti”.
E’ una situazione – dice Di Giacomo – che riprova la tesi coltivata da parte dello Stato del carcere completamente avulso dal resto della città dove invece si punta ad accrescere controlli e azioni di contrasto al Covid.
Francamente non riusciamo a capirne le motivazioni tanto più che i primi tentativi di rivolta in alcune carceri, a seguito del nuovo focolaio di Covid, dovrebbe mettere in guardia.
A noi pare di cogliere – afferma il segretario generale del Sindacato Penitenziari – una sorta di paura dello Stato che non ha alcuna intenzione di introdurre prescrizioni rigorose sul doppio piano giuridico e sanitario temendo la reazione di quei clan di criminali che continuano a dimostrare di comandare e controllare i penitenziari”.