“La rivolta dei detenuti di Ariano Irpino non è solo il “campanello d’allarme” per la situazione che vivono tutti i penitenziari italiani, molto simile a quella della “stagione delle rivolte” della primavera 2020, ma – per come è stata condotta l’azione di contrasto – può diventare un caso che, invece di stroncare i tentativi di rivolta, di fatto, rischia di incoraggiarli”.
È il commento di Aldo Di Giacomo segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria (S.PP.). “Il dialogo con i detenuti sui problemi di ordinaria vita carceraria – precisa Di Giacomo – va sempre perseguito.
Non ci può essere invece dialogo quando da parte di clan e bande criminali di detenuti c’è l’uso della forza con l’aggressione agli agenti, le devastazioni di celle, arredamenti, infrastrutture dei penitenziari, come già accade da mesi in diverse carceri, con un atteggiamento troppo morbido da parte dell’Amministrazione Penitenziaria.
Se non vogliamo rivivere la “stagione delle rivolte” e vogliamo invece riportare sicurezza e legalità nelle carceri esiste una sola strada: rispondere con fermezza ad ogni tentativo di violenza.
Purtroppo – aggiunge il segretario del Sindacato Penitenziari – il clima di “buonismo” che da troppo tempo è diffuso per responsabilità di forze politiche, associazioni e Garanti dei detenuti, produce un’autentica distorsione perché la rieducazione, obiettivo nobile, diventa il pretesto che, sommato alla diffusione del Covid, clan e bande organizzate sfruttano per imporre la propria legge di comando.
Lo stiamo dicendo da mesi e lo ripetiamo: basta una scintilla per far riesplodere la protesta violenta e quindi basta una rivolta che produca gli effetti devastanti di sfida allo Stato per incitare all’emulazione e quindi alle rivolte a catena.
È anche questo il risultato della “campagna di odio” alimentata contro la polizia penitenziaria dopo i fatti di Santa Maria Capua Vetere a cui non è stato mai messo fine”.