“Anche noi come il Comitato collaboratori di giustizia (Cogi) da tempo abbiamo messo in guardia la Ministra Cartabia: le carceri italiane sono diventate un colabrodo dove entra di tutto, dalle armi alla droga ai telefonini.
Soprattutto nelle carceri di Campania, Sicilia e Calabria dove sono detenuti i più pericolosi appartenenti ai clan di camorra, mafia e ndrangheta arrestati proprio grazie ai collaboratori di giustizia.
Ma la lettera che la portavoce del Comitato ha inviato alla Ministra non è solo un nuovo pesante atto di accusa.
Essa dovrebbe introdurre un’attenta riflessione perché se nelle carceri comandano ancora “loro”, il rischio è di indebolire l’importante e significativo apporto alle grandi inchieste di mafia e criminalità organizzata che è venuto dai collaboratori di giustizia”.
Così il segretario generale del S.PP. Aldo Di Giacomo che aggiunge: “si pensi solo agli effetti dell’uso nelle celle anche di sezioni speciali degli istituti penitenziari dei telefonini da parte di capi mafia e boss che continuano ad impartire ordini ai clan dei territori.
Un pericolo costante per collaboratori di giustizia familiari da disinnescare quanto più rapidamente e nettamente possibile.
Per questo sosteniamo l’iniziativa del Cogi a cui va data una risposta adeguata con misure e provvedimenti urgenti dimostrando da che parte sta lo Stato e mettendo fine alla “campagna buonista”.
Il rischio è che serpeggi la sfiducia nello Stato e si scoraggi la collaborazione che, come ben sanno i magistrati campani, siciliani e calabresi ha avuto un apporto essenziale per contrastare camorra, mafia e ndrangheta.
Chi continuerà a collaborare sapendo che dal carcere si prosegue a delinquere, a dirigere i traffici criminali e di morte?
I fatti pressoché quotidiani degli istituti penitenziari del Paese confermano infatti che a comandare sono sempre e solo loro, i criminali che vogliono imporre il proprio controllo di traffici e la propria supremazia sullo Stato dentro e fuori.
Ad accrescere il livello di tensione – continua il segretario generale del S.PP. – da una parte la diffusa convinzione di restare impuniti o al massimo come è accaduto per gli otto detenuti autori a Modena di una maxi rissa di una sanzione di 250 euro e dall’altra il clima di delegittimazione del personale penitenziario che ormai è fortemente diffuso dai fatti di Santa Maria Capua Vetere che alimenta la convinzione tra i capi gang di poter adesso osare sempre di più nella sfida allo Stato che ha ammainato bandiera bianca.
È bene che i cittadini si rendano conto che nelle carceri non sono reclusi vittime o angeli, ci sono autori di crimini efferati per i quali da tempo invece si sostengono la clemenza e provvedimenti di indulto.
Noi non ci stiamo a mettere sullo stesso piano i servitori dello Stato e i criminali che pretendono il controllo del carcere e sono un costante pericolo dell’ordine pubblico e la minaccia per la libera convivenza dei cittadini tanto più se collaborano con i magistrati.
Soprattutto dopo gli impegni solenni del presidente Draghi e del ministro Cartabia, è ora che ci si occupi seriamente dei problemi del sistema penitenziario senza illudersi che sfollando le celle, tutto si risolva di colpo”.