“Dalle carceri del Nord e del Sud del Paese boss ed esponenti di spicco della criminalità organizzata continuano a comandare. La nuova indagine sulla ‘ndrangheta in Lombardia ha rivelato come il capo della ‘ndrangheta dalla cella ha impartito ordini agli uomini delle cosche di ‘ndrangheta in provincia di Milano, Como e Varese, decidendo anche ritorsioni e pestaggi per chi non pagava il pizzo, gestendo comodamente dal carcere gli affari e l’attività di prestito a usura.
Lo Stato sta dimostrando tutta la sua incapacità vanificando il grande lavoro dei magistrati antimafia e degli inquirenti”.
Ad affermarlo è il segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria – S.PP. – Aldo Di Giacomo ricordando che “i casi di ordini e minacce estorsive, persino via telefono, si susseguono da tempo e interessano numerosi istituti penitenziari specie quelli con detenuti a regime 41 bis.
È naturale chiedersi se siamo solo di fronte ad una diffusa incapacità di far fronte alla criminalità che opera dal carcere o se c’è dell’altro. Questa situazione conferma – dice ancora Di Giacomo – che, come sosteniamo da anni, la lotta alle mafie si conduce a partire dal carcere dove sono detenuti capi clan e boss insieme ad esponenti di spicco delle famiglie.
E il continuo ritrovamento di telefonini in gran parte arrivati dal “cielo” (attraverso i droni) è il primo elemento per interrompere, una volta per tutte, il “comando” dal carcere ai territori oltre alle minacce ed estorsioni.
Non si sottovaluti – afferma il segretario del Sindacato Penitenziari – che le mafie approfittando di questa fase di crisi internazionale stanno concentrando i propri interessi sulle attività economiche e produttive per acquisire alberghi, ristoranti, imprese, intensificare l’usura, proprio come riprova il caso dello ‘ndranghetista detenuto nel carcere lombardo”.
“L’effetto devastante di tutto questo è lo scoraggiamento per le vittime delle mafie a denunciare e collaborare con i magistrati mentre la lotta alla criminalità rischia una brutta battuta d’arresto”.