“La richiesta di 16 anni di detenzione formulata dal Pm Maurizio Giordano nei confronti di Michele Zagaria, accusato di aver guidato dal carcere per oltre dieci anni il clan dei Casalesi ben oltre il suo arresto, (2011), è un segnale forte dello Stato contro il fenomeno ampiamente diffuso dei boss ed esponenti di spicco della criminalità organizzata che dal carcere continuano a comandare”.
È il commento del segretario generale del Sindacato Penitenziari – S.PP. – Aldo Di Giacomo che parla di “svolta significativa nella lotta alla mafia che deve coinvolgere anche la fase di detenzione”.
“Ormai – aggiunge – i casi si moltiplicano: dalla recente indagine sulla ‘ndrangheta in Lombardia che ha rivelato come il capo della ‘ndrangheta dalla cella ha impartito ordini agli uomini delle cosche di ‘ndrangheta in provincia di Milano, Como e Varese, decidendo anche ritorsioni e pestaggi per chi non pagava il pizzo, gestendo comodamente dal carcere gli affari e l’attività di prestito a usura, a quelli dei camorristi campani.
Lo Stato non può continuare a vanificare il grande lavoro dei magistrati antimafia e degli inquirenti”.
Questa situazione conferma – dice ancora Di Giacomo – che, come sosteniamo da anni, la lotta alle mafie si conduce a partire dal carcere dove sono detenuti capi clan e boss insieme ad esponenti di spicco delle famiglie.
E se Zagaria, secondo il Pm, utilizzava “frasi sibilline”, sguardi e segnali durante i colloqui, c’è chi invece comanda via telefono. Il continuo ritrovamento di telefonini in gran parte arrivati dal “cielo” (attraverso i droni) è il primo elemento per interrompere, una volta per tutte, il “comando” dal carcere ai territori oltre alle minacce ed estorsioni.
Non si sottovaluti – afferma il segretario del Sindacato Penitenziari – che le mafie approfittando di questa fase di crisi internazionale stanno concentrando i propri interessi sulle attività economiche e produttive per acquisire alberghi, ristoranti, imprese, intensificare l’usura, proprio come riprova il caso dello ‘ndranghetista detenuto nel carcere lombardo”.
“L’effetto devastante di tutto questo è lo scoraggiamento per le vittime delle mafie a denunciare e collaborare con i magistrati che nel caso dei boss dei Casalesi sono intenzionati a dare una lezione”.