“Interrompere ogni possibile comunicazione dei capo clan mafiosi in stato di arresto, domiciliare come in carcere, è una priorità se si vuole realmente ed efficacemente contrastare la mafia.
Il ritorno in carcere del boss di Cosa Nostra Guttadauro, prima agli arresti domiciliari, perché avrebbe violato più volte l’obbligo di non comunicare con persone diverse da quelle che abitano con lui e cercato canali di comunicazione riservati per parlare con altre persone, ripropone la questione che abbiamo da tempo sollevato, concordando con l’allarme lanciato in più occasioni da numerosi magistrati delle Dda di Sicilia, Campania e Calabria”.
Ad affermarlo è il segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria – S.PP. – Aldo Di Giacomo ricordando che “il problema è soprattutto in carcere dove arrivano in media due affiliati a clan mafiosi ogni giorno e dove i casi di ordini e minacce estorsive, persino via telefono, si susseguono da tempo e interessano soprattutto gli istituti penitenziari con detenuti a regime 41 bis.
Lo Stato sta dimostrando tutta la sua incapacità vanificando il grande lavoro dei magistrati antimafia e degli inquirenti con il rischio sempre più diffuso che chi ha subito violenze, ricatti, richieste estorsive, rinunci a collaborare.
Il continuo ritrovamento di telefonini – in media cinque a settimana – in gran parte arrivati dal “cielo” (attraverso i droni) è il primo elemento per interrompere, una volta per tutte, con le comunicazioni, il “comando” dal carcere ai territori oltre alle minacce ed estorsioni via telefono come è dimostrato da tanti casi di cronaca.
Non si sottovaluti – afferma il segretario del Sindacato Polizia Penitenziaria – che le mafie approfittando di questa fase di crisi internazionale e difficoltà economica per imprenditori e famiglie stanno concentrando i propri interessi sulle attività economiche e produttive per acquisire alberghi, ristoranti, imprese, intensificare l’usura, decidendo e pianificando dalle celle le operazioni da svolgere.
È naturale chiedersi se siamo solo di fronte ad una diffusa incapacità di far fronte alla criminalità che opera dal carcere o se c’è dell’altro.
Questa situazione conferma – dice ancora Di Giacomo – che, come sosteniamo da anni, la lotta alle mafie si conduce a partire dal carcere dove sono detenuti capi clan e boss insieme ad esponenti di spicco delle famiglie.
Ministro, Parlamento, politici prendano atto che dalle carceri del Nord e del Sud del Paese boss ed esponenti di spicco della criminalità organizzata continuano a comandare”.