“L’allarme lanciato dal procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri – “oggi le strutture penitenziarie, anche nei circuiti di sicurezza, non garantiscono quella impermeabilità che dovrebbe essere necessaria” – è lo stesso che lanciamo, anche noi inascoltati, da troppo tempo.
Lo ripetiamo: interrompere ogni possibile comunicazione dei capo clan mafiosi in stato di arresto, domiciliare come in carcere, è una priorità se si vuole realmente ed efficacemente contrastare la mafia, la ‘ndrangheta e la camorra”.
E’ quanto sostiene il segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria – S.PP. – Aldo Di Giacomo che aggiunge: “dietro il termine impermeabilità c’è la situazione, sfuggita al controllo dello Stato, del carcere dove arrivano in media due affiliati a clan mafiosi ogni giorno e dove i casi di ordini e minacce estorsive, persino via telefono, si susseguono da tempo e interessano soprattutto gli istituti penitenziari con detenuti a regime 41 bis.
Lo Stato sta dimostrando tutta la sua incapacità vanificando il grande lavoro dei magistrati antimafia e degli inquirenti con il rischio sempre più diffuso che chi ha subito violenze, ricatti, richieste estorsive, rinunci a collaborare.
Ha ragione il magistrato a ribadire che il 41 bis è un istituto che serve a contrastare i collegamenti con l’esterno, rompendo il clima buonista alimentato da quanti vorrebbero l’abolizione o comunque rendere “più comodo” il 41 bis.
E anche come il dottor Bombardieri – continua Di Giacomo – non vogliamo parlare alla pancia della gente e alla politica che subisce l’emotività del momento.
Dunque, il continuo ritrovamento di telefonini – in media cinque la settimana – in gran parte arrivati dal “cielo” (attraverso i droni) è il primo elemento per interrompere, una volta per tutte, con le comunicazioni, il “comando” dal carcere ai territori oltre alle minacce ed estorsioni via telefono come è dimostrato da tanti casi di cronaca.
È naturale chiedersi se siamo solo di fronte ad una diffusa incapacità di far fronte alla criminalità che opera dal carcere o se c’è dell’altro.
Questa situazione conferma – dice ancora Di Giacomo – che, come sosteniamo da anni, la lotta alle mafie si conduce a partire dal carcere dove sono detenuti capi clan e boss insieme ad esponenti di spicco delle famiglie.
Non si sottovaluti – afferma il segretario del Sindacato Penitenziari – che le mafie approfittando di questa fase di crisi internazionale e difficoltà economica per imprenditori e famiglie stanno concentrando i propri interessi sulle attività economiche e produttive per acquisire alberghi, ristoranti, imprese, intensificare l’usura, decidendo e pianificando dalle celle le operazioni da svolgere.