“I politici in questa campagna elettorale continuano a cancellare da ogni discorso la parola carcere.
Come se solo pronunciarla farebbe perdere voti.
Ma leggono i giornali?
Hanno letto le ultime ricostruzioni di una delle tante rivolte nelle carceri della primavera 2020, sicuramente la più grave con la fuga numerosa, avvenuta a Foggia, dove i capi della rivolta sfidavano apertamente lo Stato: “qui comandiamo noi”?
Hanno letto che i suicidi di detenuti dall’inizio dell’anno sono 57?”
Sono le domande del segretario generale del S.PP. Aldo Di Giacomo, impegnato da settimane con lo sciopero della fame e il tour attraverso le carceri del Paese (oggi a Pisa e Genova, sabato a Torino e Milano in serata Bologna, domenica Modena e Ancona, lunedì Sulmona) per accendere l’attenzione sull’emergenza carceri.
“In questa prima ufficiale settimana di campagna elettorale – aggiunge – non abbiamo ascoltato una sola parola sulla vergognosa e drammatica situazione insostenibile e non più tollerabile delle carceri del Paese.
Gli schieramenti politici e i partiti che si contendono il successo dal voto del 25 settembre preferiscono tenere lontano ogni riferimento alle gravissime problematiche del sistema penitenziario come se non riguardasse i cittadini- elettori.
Un atteggiamento ancor più incomprensibile nei confronti dei poliziotti penitenziari che ogni giorno nelle carceri rischiano la vita, come se questi lavoratori dello Stato non esistessero.
Accade così che nessuno si occupi degli agenti e dei detenuti.
Né ci pare di trovare qualche idea, non dico proposta, in programmi elettorali da parte di chi si candida a governare il Paese nei prossimi anni.
Solo Papa Francesco in occasione della sua visita a L’Aquila – a seguito di nostra sollecitazione – ha rivolto un pensiero al personale penitenziario e ai detenuti.
Da servitori dello Stato e non “fantasmi”, uomini e donne in divisa, chiediamo solo di poter svolgere il nostro ruolo e far rispettare la legalità e a contrastare a mafia e criminalità che, a nostro parere, deve svolgersi a partire dalle carceri.
Ma in queste condizioni non siamo in grado di poterlo fare.
La mia protesta – conclude Di Giacomo – prosegue in attesa che il Capo dello Stato raccolga il mio appello perché è rimasto l’unico garante della legalità nelle carceri, della sicurezza dei detenuti e degli agenti”.