Il suicidio a Siracusa dell’agente penitenziario, il quinto di quest’anno, è sempre difficile e doloroso da commentare ma, per chi ha responsabilità di rappresentanza sindacale, è soprattutto una nuova e doverosa occasione per interrogarsi sulle motivazioni e per riaccendere l’attenzione sulle condizioni di lavoro del personale penitenziario sempre più segnate da turni estenuanti anche per la carenza di personale e da stress determinato dalle continue aggressioni da parte di detenuti.
Ad affermarlo è il segretario generale del S.PP., Aldo Di Giacomo, per il quale diventa indispensabile indagare motivi e cause di un suicidio avvenuto a poche ore da una cena con colleghi senza che nessuno abbia colto alcun segnale.
Secondo l’Osservatorio Suicidi in Divisa in questi primi dieci mesi dell’anno sono 61 i suicidi; l’anno scorso erano stati 57, nel 2020 sei in meno e l’anno prima ben 69. In dettaglio nel 2022 così suddivisi: 12 carabinieri (di cui 5 carabinieri forestali); 7 nella Guardia di finanza; 3 dell’Esercito; 5 della Polizia penitenziaria (più un tentativo di suicidio); 21 della Polizia di Stato, di cui uno da poco in pensione (più 3 tentativi di suicidio); 5 della Polizia locale; 4 guardie giurate; 2 Vigili del fuoco; 1 dell’Aeronautica militare. Il carcere paga il prezzo più alto di vite umane aggiungendo i 76 suicidi di detenuti, numeri mai così alti sinora.
Ma i “freddi numeri” – aggiunge Di Giacomo – non danno l’idea precisa del dramma umano che vive chi arriva alla scelta di togliersi la vita.
Significativo, in quanto buona base di partenza, è il parere di chi ha curato lo studio per l’Osservatorio: “I fattori patologici sono riconducibili ad alcune gravi e anacronistiche storture presenti nel mondo militare e delle forze di polizia: trasferimenti di sede, giudizi caratteristici, sanzioni disciplinari e benemerenze.
È indubbio quanto la dimensione del benessere/malessere individuale sia fortemente legata al contesto lavorativo nel quale i militari si trovano inseriti, e la percezione di tale dimensione è strettamente correlata alle dinamiche interattive e relazionali, ai conflitti emotivi che ne possono scaturire. I conflitti emotivi e sociali in ambienti di lavoro sono segni del tentativo dell’individuo di far fronte a una situazione di disagio psicologico e interpersonale”.
Dunque non può che crescere la nostra preoccupazione specie per alcuni fattori tra i quali l’età media alta, organici ridotti, turni massacranti, le sanzioni e i provvedimenti disciplinari.
Il numero dei “suicidi in divisa” segna un incremento allarmante.
Quello che si può e si deve fare e lo chiediamo al nuovo Ministro e al nuovo Parlamento è predisporre misure ed azioni, anche in campo di assistenza socio-sanitaria e psicologica, per rendere il lavoro degli uomini e delle donne in divisa prima di tutto più sicuro e meno stressante.