Vediamo insieme le novità della prossima riforma previdenziale
Sostenere la previdenza complementare rientra fra gli obiettivi prioritari perseguiti dal Governo nell’ambito della prossima riforma previdenziale. Questo soprattutto perché la previdenza complementare potrebbe essere, forse, l’unico regime previdenziale in grado di sopperire al buco lasciato scoperto dalla previdenza obbligatoria.
La previdenza complementare – attualmente disciplinata dal D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 – rappresenta, infatti, il secondo pilastro del sistema pensionistico, il cui scopo è proprio quello di concorrere ad assicurare al lavoratore, per il futuro, un livello adeguato di tutela pensionistica, insieme alle prestazioni garantite dal sistema pubblico di base.
A tal fine la previdenza complementare è basata su un sistema di forme pensionistiche, incaricate di raccogliere il risparmio previdenziale mediante il quale – al termine della vita lavorativa – si potrà beneficiare di una pensione integrativa.
I destinatari dei fondi pensione sono:
- i lavoratori dipendenti, privati e pubblici;
- i soci lavoratori e i lavoratori dipendenti di società cooperative di produzione e lavoro;
- i lavoratori autonomi e i liberi professionisti;
- persone che svolgono lavori non retribuiti in relazione a responsabilità familiari;
- lavoratori con un’altra tipologia di contratto (ad es. lavoratore occasionale).
Il finanziamento delle forme pensionistiche complementari è a carico del lavoratore destinatario della prestazione e – in caso di rapporto di lavoro dipendente – in parte anche a carico del datore di lavoro. Inoltre, i lavoratori dipendenti possono decidere di integrare i versamenti contributivi anche mediante il conferimento al Fondo del trattamento di fine rapporto (TFR).
Il TFR, disciplinato dall’ art. 2120 del codice civile – sembra utile chiarire – costituisce un elemento della retribuzione, la cui erogazione è differita al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
Ad oggi, dunque, l’adesione alla previdenza complementare è libera e volontaria (art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 252 del 2005).
Secondo il regime normativo attualmente vigente, il lavoratore dipendente, entro sei mesi dall’assunzione, può decidere di:
- destinare le quote di TFR ancora da maturare ad una forma pensionistica complementare;
- lasciare il TFR presso il datore di lavoro;
- non decidere nulla. In questo caso il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, salvo accordi aziendali diversi. Nel caso di presenza di più forme pensionistiche, il TFR è trasferito, salvo diverso accordo aziendale, al fondo pensione al quale ha aderito il maggior numero di dipendenti.
Anche in un secondo momento, il TFR maturato resta accantonato presso il datore di lavoro e sarà liquidato al momento della risoluzione del rapporto di lavoro.
Nell’ambito della procedura appena descritta, potrebbe ora essere inserita “una nuova riapertura di un semestre di silenzio-assenso”.
La proposta di riforma previdenziale messa attualmente in campo prevede, infatti, che il lavoratore potrà esprimersi nuovamente, dando una scelta diversa sulla destinazione del trattamento di fine rapporto maturando: in caso di silenzio – una volta decorsi sei mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo attuativo della futura riforma – il TFR sarà automaticamente devoluto al fondo integrativo. Per i nuovi assunti i sei mesi di tempo utile per l’opzione decorrono, come già previsto, dalla data di assunzione.
La riapertura di un semestre di silenzio-assenso – ha affermato la Ministra del lavoro Marina Calderone – “è necessaria, perché uno degli elementi che ha costituito una scarsa appetibilità della previdenza complementare, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni, è il fatto che non è stata spiegata bene, non è ben compresa”.